Ricominciamo dalla formazione manageriale

È noto che il nostro Paese abbia necessità di recuperare posizioni nelle principali classifiche europee in termini di partecipazione delle donne nel mondo del lavoro. Non meno nota è la sottoutilizzazione delle competenze femminili in ambito manageriale, dove il “glass ceiling” è (in molti casi) ancora una realtà: siamo, infatti, al 16° posto, ben lontani dalla Svezia - prima in classifica - ma anche dietro a Portogallo, Francia, Polonia e Spagna, nel ranking annualmente pubblicato dall’Economist. Meno noto è il ruolo importante che la formazione, ed in particolare quella manageriale, svolge (e può ulteriormente svolgere) per contribuire a diffondere e irrobustire una nuova cultura manageriale che ponga al centro e valorizzi i temi della diversity and inclusion, così come peraltro ci chiedono tutte le principali strategie europee e lo stesso Pnrr. 

E per contribuire al miglioramento del posizionamento in classifica del nostro Paese. Un ruolo corroborato dall’evidenza dei fatti, come mostra l’analisi degli effetti, in termini di performance aziendali, derivanti dall’incremento del numero di donne manager e dall’investimento formativo su di loro. Proprio per questo, cioè per mostrare che investire in formazione conviene, Fondirigenti ha avviato, con la collaborazione delle Università di Trento e Bolzano, uno specifico filone di ricerca dedicato a misurare gli impatti della formazione manageriale al femminile sulle performance aziendali, basandosi su dati reali provenienti dalle imprese aderenti. I risultati dello studio dimostrano che il cammino da compiere è ancora lungo, sia per innalzare il numero delle dirigenti donne (secondo i dati Inps, nel 2019 queste rappresentavano appena il 19% del totale dei dirigenti in Italia), sia per coinvolgerle nei processi formativi, anche se il passo in avanti compiuto nell'arco degli ultimi dieci anni risulta evidente. 

Nel periodo considerato dalla ricerca (2010- 2020), i dati evidenziano una decisa crescita, dal 13 al 21% del totale, delle attività formative rivolte al management femminile, con un aumento di quasi il 60% cento, prova dell’accresciuta sensibilità delle imprese. Le manager in formazione sono inoltre più giovani dei colleghi di sesso maschile: sei su dieci hanno meno di 50 anni; mentre non vengono rilevate differenze significative nella durata media dei corsi di formazione, che si attestano attorno alle 19 ore.
I risultati della ricerca giungono a quantificare l’apporto della formazione manageriale al femminile sulle performance aziendali. In particolare, l’indagine dimostra che esiste un differenziale di produttività fra chi rivolge la formazione solo agli uomini e chi invece coinvolge anche alle donne. In quest’ultimo caso l'aumento di produttività è più alto del 9% rispetto a quello registrato dalla formazione “al maschile”. Fare formazione alle manager, dunque, conviene sia nella manifattura, dove l'aumento è appunto del 9%, sia nei servizi dove la produttività si innalza dell'8%. 

La conferma della solidità dei trend emersi dalla ricerca viene dai risultati relativi ai piani formativi finanziati dal Fondo nel corso del 2021, che pure scontano gli impatti della crisi pandemica sulle attività delle imprese. Le donne manager coinvolte in attività formative con il conto formazione salgono al 21,47% (nel 2020 erano il 20,73%) ed hanno fruito 300mila ore di formazione. Percentuali in crescita anche per le attività finanziate con gli Avvisi, il secondo canale di finanziamento del Fondo, che prevedono una elezione delle proposte su criteri qualitativi. In particolare, la fascia d'età maggiormente rappresentata dalle dirigenti donne in formazione è quella fra i 30 e i 34 anni, che fa salire al 27% la presenza femminile in questo range anagrafico. 

Se, in base alla distribuzione geografica delle imprese, è la Lombardia la regione che assorbe più manager in formazione (il 44% sul totale di ambo i sessi) e anche più donne sul totale dei dirigenti donne (51,8%), come ripartizione geografica è il Centro a coinvolgere maggiormente il sesso femminile, dal momento che le manager sono presenti nel 46% delle imprese che svolgono attività formative, mentre al Nord la percentuale è del 35% e al Sud scende al 28%. 
Più aumenta la dimensione aziendale e più sale il coinvolgimento delle donne dirigenti: quasi il 40% delle medie imprese. A inserire più donne nei processi formativi dei dirigenti sono soprattutto le imprese che lavorano nei settori della scienza e della tecnologia: il 49% di esse ha almeno una donna in formazione. 

L’analisi dei Piani formativi e dei loro impatti suggeriscono, dunque, alcune chiare direzioni per la strada verso il superamento del soffitto di vetro, direzioni che vanno di pari passo con il rafforzamento strutturale del tessuto produttivo del nostro Paese: la managerializzazione delle imprese, il superamento del divario territoriale, l’inserimento professionale delle giovani dirigenti; la trasformazione in senso tecnologico e digitale delle imprese, sono tutti fattori di lungo periodo capaci di favorire una maggiore presenza delle donne nei ruoli apicali. 
Come lo è la questione dimensionale. Queste evidenze rendono infatti necessaria un’azione di supporto alle imprese di piccole e medie dimensioni nell’adozione di prassi manageriali che favoriscano managerializzazione (al femminile) delle realtà organizzative. Per questo, Fondirigenti ha affiancato ai finanziamenti azioni di analisi e modellizzazione sui temi della diversity (vedi box).

L’obiettivo è di fornire anche alle Pmi metodologie e strumenti di ausilio all’innovazione dei modelli organizzativi, puntando (anche) sul riequilibrio di genere nelle posizioni manageriali. 
Proprio puntando sul ruolo attivo della formazione, come vero e proprio fattore abilitante delle principali politiche in atto, Fondirigenti vuole porsi al centro di questo processo. L’originale mix di servizi del Fondo offre infatti, con una logica circolare, analisi e studi sui trend in atto, tool manageriali e finanziamenti alla formazione in grado di contribuire alla managerializzazione delle imprese del nostro Paese. Un processo che vede protagoniste le donne che - dati alla mano – forniscono un solido e importante contributo alle performance d’impresa, più che mai importante, specie in questi momenti di grandi trasformazioni e di difficili tensioni internazionali.

Quasi Itaca: inclusione e talenti per accompagnare nella crescita le aziende 

L’Italia non è (ancora) un Paese per donne e per giovani e i divari territoriali continuano a vedere il Nord sempre più staccato dal Centro-Sud. Sembra scontato ma, in sintesi, sono queste le conclusioni dell’indagine promossa da Fondirigenti sul tema del Diversity, Equity, & Inclusion in collaborazione con Federmanager Academy, la management school di Federmanager. Il progetto Quasi Itaca (Inclusione e Talenti per Accompagnare nella Crescita le Aziende) ha analizzato il livello di readiness delle aziende e dei manager rispetto alla applicabilità della recente norma Uni Iso 30415:2021 che ricopre un vuoto normativo nel settore della D&I, offrendo un modello che consente alle organizzazioni di innescare processi di miglioramento continuo delle capacità inclusive e di valorizzazione delle diversità. 

Obiettivo centrale del progetto, la verifica della presenza in Italia di realtà che ad ‘Itaca’ sono già arrivate, avendo un modello riconosciuto di DE&I, altre che sono pronte per l’ultima parte del viaggio e, alcune, che sono ancora lontane dalla meta. Il campione che ha risposto all’indagine ha fornito una significativa evidenza sullo stato dell’arte: il 70% dei rispondenti è uomo; l’89% ha più di 43 anni (e l’età media dei rispondenti è di 53 anni); il 60,08% ha risposto dal Nord, il 25,30% dal Centro e solo il 10,28 ed il 4,35% rispettivamente dal Sud e dalle Isole. Un dato è però incoraggiante: il 62,55% dei manager dichiara di essere al corrente dell’adozione della norma Uni Iso 30415. 
Lo standard internazionale ha l’obiettivo di rappresentare una guida sulla corretta applicazione dei principi della Diversity e Inclusion per le organizzazioni, ma è molto recente e ancora poco diffuso e conosciuto in Italia. Nonostante alcuni trend a livello internazionale abbiano reso centrale questo tema, non è facile costruire vere politiche di Inclusione. L’ indagine dimostra però che molte aziende e realtà hanno fatto rilevanti progressi su questo terreno, altre vogliono approdare a una "Itaca", metafora di un’organizzazione che compie passi concreti e sistematici per includere le diversità, come riconoscimento dei diritti del singolo ma anche come driver che porta valore all’impresa. 

I 33 parametri valutati riguardano: cultura e strategia, governance, processi legati alle risorse umane, crescita e inclusione delle donne, equità remunerativa e tutela della genitorialità. Il Pnrr stanzia 10 milioni per la certificazione di genere di cui 5,5 a copertura dei costi di certificazione delle imprese (massimo di 12.500 euro ad azienda) e 2.500 per servizi di assistenza tecnica, mentre alcune regioni, come la Lombardia, aggiungeranno risorse a potenziamento della misura

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