D20 Leader a confronto con Confindustria e istituzioni europee e nazionali

Il consiglio più diretto, agli aspiranti manager del corso di formazione D20 Leader, lo dà Francesca Mariotti, direttore generale di Confindustria: “Studiare, e non avere paura dell’interdisciplinarità e del confronto. Riportiamo di moda parole come competenza, studi, valore”.  Ma le giornate di visite, prima presso la sede nazionale di Confindustria, poi presso la Rappresentanza italiana della Commissione Europea, infine nel Senato della Repubblica, sono state foriere di importanti insegnamenti, per i venti partecipanti di D20 Leader, il percorso studiato da Fondirigenti per formare i leader del futuro. Tre giornate imperniate su concetti chiave come relazioni istituzionali, concertazione, visione strategica, governo della complessità: tutti necessari non solo per il successo di una impresa, ma anche per la realizzazione del bene collettivo in presenza di interessi diversi.  Di fatto, ciò di cui da 111 anni si occupa Confindustria, la principale associazione di imprese italiana, che da sempre “lavora per fare una sintesi di interessi diversi, spesso anche opposti tra loro, per rendere un servizio utile alle imprese” spiega la DG Mariotti. 

Concorda anche Massimo Panarari, docente al Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Luiss G. Carli. In una fase storica di grande crisi di rappresentanza politica, sono proprio i corpi intermedi, quelle forze sociali aggregatrici di interessi particolari, a potere e dovere rappresentare al meglio istanze, portare proposte alle istituzioni, concertare soluzioni, proporsi come portatori di interessi anche generali. Guidati da un concetto chiaro, che tutti i manager di domani dovrebbero seguire, sottolinea Mariotti: “Il valore legittimo del singolo è più incisivo, se diventa un valore collettivo”. Un esempio lo si è avuto “con il Piano Industria 4.0 e lo sviluppo dei digital hub e dei competence center: la dimostrazione che l’interdisciplinarietà e il lavoro congiunto pubblico/privato hanno fatto funzionare al meglio le cose”.  

È questione soprattutto di avere “una visione di ciò che si vuole fare”, conferma Mario Cardoni, DG di Federmanager, e ciò vale tanto a livello d’impresa che a livello di gestione della cosa pubblica. “Questo è un Paese che non ha visione – ha sottolineato Cardoni senza mezzi termini - C'è bisogno di una cultura, di un paese che abbia un taglio manageriale anche nelle proprie istituzioni” soprattutto perché “è dagli inizi degli anni duemila che facciamo fatica, nonostante l’Italia sia il secondo paese manifatturiero d’Europa. Abbiamo un grande export, ma siamo riottosi al cambiamento”. A chi vuol fare il manager, Cardoni consiglia dunque “coraggio, voglia, disponibilità, anche a confrontarsi con gli altri, e un pizzico di fortuna: tutti elementi che funzionano al meglio se incontrano un sistema di valutazione capace di premiare davvero il merito. Per questo Federmanager ha puntato su un sistema di certificazione ‘Innovation manager’ volto proprio a premiare conoscenze e competenze”. 

 

L’Europa, sin da suoi albori, è il luogo in cui la concertazione, le parole lobby e compromesso, hanno assunto un valore tutt’altro che negativo, anzi. Per Sergio Tringali, advisor della sede di Confindustria a Bruxelles, dove Business Europe riunisce le diverse Confindustrie nazionali, il dialogo interistituzionale, e tra portatori di interesse e istituzioni, continua a essere improntato alla ricerca del win-win: il compromesso è una vittoria per entrambe le parti”. Del resto, la politica deve dare risposte a sfide comuni, e bisogna trovare “una comunità di intenti pur partendo da posizioni diverse: per questo l’azione di lobbying fa parte del dialogo sui contenuti”.   Allo stesso modo delle imprese, anche i manager svolgono un importante ruolo di rappresentanza in Europa, come spiega Marco Vezzani, della Confederazione Europea dei Manager (CEC) “per farci carico delle istanze dei manager italiano, facendo cerniera, puntando sui temi che ci accomunano ai colleghi degli altri paesi europei, in particolare su temi soft come gender equality e sostenibilità, e su temi hard come intelligenza artificiale e smart change”.

Temi che richiedono competenze sempre più sofisticate: ma un bravo manager – è l’insegnamento finale di Vezzani – “deve avere testa, ma anche cuore, soprattutto verso il suo team: naturalmente ogni impresa deve far quadrare i conti, ma non si ottengono risultati se non ci si dedica al fatto che tutti nell’impresa siano coinvolti e messi in grado di dare il meglio di sé stessi”.