Il manager del futuro? È formatore

I più recenti studi sul management indicano nelle competenze non solo un indispensabile elemento di competitività dell’impresa, ma anche e sempre di più un fattore critico per la sua stessa sopravvivenza. I cambiamenti di uno scenario economico e geopolitico sempre più incerto e mutevole, unitamente alle grandi transizioni nel campo della sostenibilità e della digitalizzazione, contribuiscono infatti a far emergere con forza l’importanza della formazione del capitale umano come principale fonte di vantaggio competitivo, fattore che accelera la trasformazione del ruolo manageriale, specie all’interno delle organizzazioni più “sagge”. 
L’iniziativa di Fondirigenti, Learning Mindset Manageriale ha l’obiettivo di realizzare un modello di sviluppo dei processi di apprendimento, sulla base di analisi sul campo, attraverso una mappatura degli orientamenti delle imprese e un identikit del ruolo del dirigente, per diventare Manager Formatori. 

In termini manageriali, ciò significa che chi ha la responsabilità di guidare gruppi più o meno ampi di collaboratori, è e sarà sempre più chiamato a presidiare e gestire le dinamiche legate alle competenze, immaginando organizzazioni nuove (dal punto di vista delle modalità di lavoro e dei processi) capaci di valorizzarle al meglio. Per far questo, serve coniugare competenze e relazioni per divenire un “open manager”, ovvero un manager con uno stile di gestione aperto, in grado di creare le condizioni per una migliore flessibilità, adattabilità e capacità di innovazione, caratteristiche essenziali per un’organizzazione moderna e resiliente. E, allo stesso modo, capace di sfruttare la forza dirompente delle relazioni e delle interdipendenze: come mostra l’esperienza degli ultimi anni, infatti, solo dalle contaminazioni (e dalla capacità di attivare e mettere in rete le diverse competenze) sorgono le migliori opportunità. 

In base all’indagine, sono state classificate le seguenti tipologie di imprese: 1. Imprese organiche; 2. Imprese trasformative; 3. Imprese agili. L’indagine ha coinvolto gli HR manager delle imprese partecipanti, con interviste di approfondimento e prevede la realizzazione di una survey sulle imprese aderenti al Fondo. 
Il profilo e le modalità di azione del Manager formatore dipendono da fattori di contesto, dinamiche settoriali e tecnologiche, ma anche da scelte strategiche e dimensioni aziendali. Per questo, la strada da compiere è ancora lunga, anche in considerazione delle peculiari caratteristiche del tessuto produttivo italiano, con una elevata densità di PMI che mostrano una presenza manageriale da rafforzare in termini quantitativi e qualitativi. 

L’elemento centrale di questo “passaggio obbligato” per il management è il rafforzamento della propria capacità di non solo di formarsi ma anche di formare, in una logica di life long learning, occupandosi in modo non episodico e proattivo (come mentor o coach) delle competenze dei propri collaboratori, impegno che entra a far parte dei basic manageriali, fino a diventare elemento di valutazione delle performance manageriali. Emerge, quindi, la necessità di disporre di una “bussola” dei fabbisogni di formazione e di sviluppo per porre i dirigenti nelle condizioni di giocare in modo fruttuoso un ruolo attivo nei processi di apprendimento all’interno delle aziende del nostro Paese.

Un approccio “aperto” alla leadership, basato su networking e partnership, che non riguarda solo le imprese, ma che si estende a tutti gli attori dell’ecosistema produttivo. Per questo, oltre ad agire con i Soci, Confindustria e Federmanager, Fondirigenti ha attivato una specifica collaborazione con AIDP, l’Associazione che rappresenta i professionisti ai quali è demandato in primis il compito di veicolare i messaggi di innovazione delle competenze nelle organizzazioni, proprio a partire da questa di ricerca sulle caratteristiche del “manager formatore”, che si concluderà nei prossimi mesi.